Così il successo sta uccidendo Barcellona

Pubblicato su pagina99

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I numeri sono inequivocabili. Più di 27 milioni di visitatori. 7, 5 milioni di turisti ospitati in hotel, per un totale di 16,5 milioni di pernottamenti all’anno. Primo posto in Europa e quarto nel mondo per numero di crocieristi. Sesta città al mondo nel ranking del turismo congressuale. Sono i numeri di un successo? “Senza dubbio, si tratta di un enorme successo!” risponde Gabriel Guilera, direttore di comunicazione del consorzio Turisme de Barcelona, l’ente creato dall’amministrazione comunale, dalla Camera di Commercio e dalla fondazione Barcelona Promoción per promuovere la capitale catalana. “Qualsiasi altra città vorrebbe trovarsi nella nostra situazione. Siamo diventati un punto di riferimento in quello che considero l’esclusivo club delle città mondiali”. Eppure, da qualche tempo a questa parte, qualcosa scricchiola nell’oliato meccanismo che ha permesso a Barcellona di quintuplicare in poco più di 20 anni il numero di visitatori.

Il modello di successo nato nel ’92 con le Olimpiadi, l’evento che rappresentò l’occasione di una profonda riforma urbanistica della città e una ribalta internazionale senza precedenti, inizia infatti a mostrare delle crepe. Il delicato equilibrio tra le esigenze della vita quotidiana degli abitanti e gli interessi delle imprese dedicate al settore turistico comincia a incrinarsi sotto il peso di una presenza sempre più massiccia di visitatori, un peso destinato ad aumentare nei prossimi anni. E pone un interrogativo nuovo: Barcellona potrebbe rimanere vittima del suo stesso successo?

A questa domanda ha cercato di dare una risposta Eduardo Chibás, un giovane realizzatore cinematografico che pochi mesi fa ha pubblicato su Internet un documentario dal titolo Bye Bye Barcelona, in cui getta una luce critica sui problemi che genera il fenomeno turistico. Il documentario, che in pochi giorni ha riscosso un enorme successo di visite, ha avuto inoltre il merito di far affiorrare un dibattito che da tempo si muoveva carsicamente tra le pieghe del discorso ufficiale. “Io non sono contrario al turismo. Anzi,” spiega Chibás, che è di origini venezuelane e vive in Catalogna da dieci anni, “con il mio lavoro voglio dimostrare il mio attaccamento a questa città. Il mio obiettivo era innanzitutto rendere evidente che c’è un problema e quindi aprire uno spazio di riflessione”. Chibás vive nei pressi della Sagrada Familia e l’idea di girare il documentario gli è maturata driblando le fiumane di gente che ogni giorno si riversano nei dintorni della cattedrale di Gaudì. “Credo che Barcellona corra il rischio di trasformarsi in un parco tematico, come è successo a Venezia”, conclude il regista.

I 3,2 milioni di persone che ogni anno contemplano le navate di questo gioiello del modernismo – si tratta del monumento più visitato di Spagna – hanno attratto i grandi marchi della ristorazione rapida e i negozi di souvenir, che a decine circondano la chiesa incompiuta più famosa del mondo. Qui le magliette del Barça made in China la versione locale del “Been there, done that, bought the T-shirt”, ossia, come gli anglosassoni sintetizzano il concetto del turismo mordi-e-fuggi – hanno sostituito quasi del tutto i prodotti dei negozi tradizionali e hanno profondamente trasformato il volto del quartiere.

Tuttavia, la zona della città che maggiormente risente della pressione turistica è il distretto di Ciutat Vella, la città vecchia. Nei quattro quartieri che la compongono – Gòtic, Raval, Born e Barceloneta – risiedono 105.000 persone, con una densità abitativa maggiore del 50% rispetto alla media della città. Si tratta del cuore nevralgico di Barcellona, dell’area in cui si concentrano moltissime delle sue attrazioni turistiche e quella più vicino al porto e al fronte marittimo. Tutte ragioni sufficienti a spiegare perché in questo distretto grande appena 4,5 kmq si concentri il 40% dei 365 alberghi della città, per un totale di 17.000 posti-letto, oltre a più di 600 appartamenti turistici (considerando anche quelli non censiti e considerati illegali, il numero raggiungerebbe l’ordine delle migliaia). A questi dati, bisogna aggiungere anche i 2 milioni e mezzo di passeggeri sbarcati dalle 835 navi da crociera che hanno attraccato nel porto nel solo 2013.

Secondo un recente studio, l’80% dei cento milioni di persone che ogni anno camminano per le famose Ramblas non sono di Barcellona. “Una città senza abitanti è una città morta”, afferma Reme Gómez, presidente dell’associazione degli abitanti di Ciutat Vella. Gómez vive nel Raval da più di 25 anni ed è stata testimone di come negli ultimi due lustri ci sia stato un esodo da parte dei commercianti della zona, allontanati dall’aumento dei prezzi dei locali commerciali. Gómez racconta come anche nel suo condominio siano rimasti ormai solo in due a viverci durante tutto l’anno, mentre le altre abitazioni sono affittate per brevi periodi.

Nonostante la crisi e lo scoppio della bolla immobiliare – con la conseguente caduta dei prezzi del mercato – Ciutat Vella è adesso il secondo distretto della città in cui l’affitto è più caro, preceduto solo da quello residenziale di Sarrià-Sant Gervasi, la zona più ricca di Barcellona. Mentre nel 2003 ben sette distretti avevano un prezzo d’affitto maggiore rispetto a quelli di Ciutat Vella, nei dieci anni successivi – quelli del boom turistico della città – il prezzo degli affitti in centro è aumentato del 20% in più rispetto alla media degli altri quartieri. “Non so se si tratta si gentrificazione”, dice Gómez, “però posso assicurare che Ciutat Vella si sta convertendo in una scenografia vuota e gli interessi delle lobby economiche, appoggiate dal Comune, stanno favorendo questo processo”.

Nel punto di mira delle associazioni c’è soprattutto la lobby dei proprietari d’hotel. Recentemente Jordi Clos, il presidente del potente Gremi d’Hotels de Barcelona – il suo vice è Joan Gaspart, ex presidente del Barça, vicino all’Opus Dei e presidente del consorzio Turisme de Barcelona – ha dichiarato come obiettivo il raggiungimento dei “10 milioni di turisti all’anno in hotel”, realizzabile solo con l’apertura di nuovi alberghi, osteggiata invece dagli abitanti dei quartieri del centro. “Si stanno costruendo le basi per una nuova bolla speculativa, dopo quella immobiliare”, conclude Gómez.

Di fatto, l’economia legata al turismo rappresenta il 12% dell’intero PIL della città ed il suo peso è destinato a crescere. “Siamo di fronte ad un modello economico estrattivo, simile a quello delle miniere di materie prime, in cui il capitale finanziario la fa da padrone”, commenta Albert Arias, geografo e ricercatore dell’Università Rovira i Virgili. Secondo Arias, a nessuno si può impedire di viaggiare o conoscere un’altra città, ma è necessario da parte del potere pubblico impedire la monocolura turistica, cioè che una sola attività economica si appropri dello spazio comune. Mentre, a suo parere, “gli investimenti pubblici in determinate aree sono stati diretti solo verso pratiche non quotidiane, quelle cioè che non rispondono alle esigenze dei cittadini”, come è successo per esempio sulle Ramblas.

Il Comune ha proposto un compromesso con l’approvazione dei Piani d’Uso di ogni distretto, con cui si regola l’attività economica all’interno di ogni zona. Dopo una moratoria di un anno, l’amministrazione comunale ha permesso l’apertura di nuovi stabilimenti alberghieri, a patto che siano in edifici disabitati, di interesse artistico e culturale, che necessitino di riforme e che si trovino lungo il perimetro del distretto. Per quanto riguarda gli appartamenti turistici, ha impulsato la creazione di condomini dedicati, con la possibilità per i piccoli proprietari di vendere le proprie licenze. “La pressione è evidente e probabilmente in alcuni casi si può parlare di di gentrificazione. Ma abbiamo attivato gli strumenti per limitarla, come per esempio con il Piano d’Uso e i Piani di Turismo di distretto. La sfida è riuscire a decentrare la presenza turistica in altre zone della città e alleggerire il peso dal centro”, spiega Joan Torella, direttore dell’area di Turismo ed Eventi del comune di Barcellona. “La nostra sfida non solo è quello di evitare il rischio di gentrificazione, ma soprattutto quello di salvaguardare lo stile di vita della città, che è il segreto del suo successo. Barcelona è una città interessante perché è una citta viva, con un importante tessuto culturale e associativo. Queste contraddizioni avvengono in tutti i casi di successo. La sfida è fare in modo che che questo successo sia sostenibile”.

Secondo Arias, invece, la resistenza al processo di trasformazione del centro in parco tematico passa per il rilancio delle pratiche quotidiane. “Bisogna impedire che in quartieri come la Barceloneta o il Born si produca lo stesso fenomeno accaduto alle Ramblas, ossia una sorta di profezia autoavverata: ‘smetto di frequentare determinate zone perché ci sono solo turisti’. L’unica maniera per mantenere vivi quei luoghi è continuare a frequentarli.”, conclude Arias. Anche perché, secondo lui, non è detto che un locale sappia meglio di un turista dove fanno una paella migliore.

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