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«¡Sí se puede!, ¡Sí se puede!”. Il grido risuona forte nella platea dell’auditorio ‘Francesca Bonnemaison’ di Barcellona. L’atto è di quelli importanti: la presentazione della lista Barcelona en Comú alle elezioni municipali del prossimo 24 maggio. E né il luogo né la data sono casuali. 14 aprile, anniversario della Seconda Repubblica Spagnola, abbattuta nel ‘39 dal colpo di stato di Franco. Francesca Bonnemaison, invece, fu la scrittrice che creò la prima biblioteca popolare delle donne. Sul palco c’è lei, Ada Colau, e quel grido è il suo “Yes, We can”, con cui si appresta a ribaltare più di 30 anni di dominio socialista e nazionalista al Comune di Barcellona.
Il 2015 è un anno politicamente decisivo per la Spagna. Dopo le elezioni regionali andaluse dello scorso marzo, il calendario elettorale proseguirà il 24 maggio con le comunali e le autonomiche, a settembre con quelle catalane e infine a novembre con quelle generali. La tornata elettorale sarà la cartina di tornasole per il governo di Mariano Rajoy, in un paese impoverito da sette anni di crisi economica e di politiche di austerity e di tagli sociali. La disoccupazione al 23%, l’aumento delle sacche di povertà, la crescita delle disuguaglianze sociali e i numerosi scandali di corruzione sono stati il crogiuolo in cui si è forgiato il malessere sociale, sfociato nel movimento degli indignados. Quattro anni dopo le manifestazioni di piazza di Madrid, Barcellona e delle altre grandi città spagnole, il movimento del 15M ha ora la possibilità di esprimersi nelle urne. In Spagna la piattaforma che propugna il rinnovamento politico e istituzionale è il movimento Podemos, liderato da Pablo Iglesias, mentre a Barcellona il volto e la voce del cambio sono quelli di Ada Colau. CONTRO GLI SFRATTI Colau è nata il 3 marzo del ’74. Poche ore prima il regime franchista giustiziava l’anarchico Salvador Puig Antich, cosa che, ci tiene a ripetere sempre, sua madre non ha smesso mai di ricordarle, come segnale del suo destino politico. Un destino che si è materializzato nella fondazione nel 2009 della PAH, l’associazione contro gli sfratti che è riuscita a fermare migliaia di pignoramenti nella Spagna flagellata dalla speculazione immobiliare. Ed è a sua madre e all’importanza della memoria storica che si riferisce nel discorso di presentazione del programma elettorale. “Barcellona è la sua memoria. Se dimostriamo di avere la capacità di immaginare una città diversa, avremo il potere di trasformare la Barcellona di pochi in una Barcelona En Comú”. Gli ultimi sondaggi danno alla formazione, integrata da quattro sigle diverse (gli ecosocialisti di ICV, le piattaforme Equo e Procés Constituent e Podem, la filiale di Podemos in Catalogna), possibilità di vittoria o comunque di un testa a testa con il sindaco uscente, Xavier Trias, dei nazionalisti di centrodestra di CiU. “Il difficile non è creare un partito o una coalizione ma cambiare un immaginario collettivo, trasformare quei valori di individualismo così inculcati nella società”, afferma Colau. “Non è vero che non c’è alternativa, che mobilizzarsi non serva a niente. Siamo la maggioranza e vogliamo cambiare il sistema bipartitico che c’ha portato in questa situazione”. UN CAMBIO D’EPOCA Una vittoria al Comune di Barcellona significherebbe il consolidamento della proposta di “rottamazione” politica portata avanti da Podemos su scala nazionale e metterebbe ancora di più in evidenza la crisi del sistema consolidatosi in Spagna dopo la caduta del franchismo. “Siamo davanti a una crisi politica, sociale e istituzionale. La classe politica in tutti questi anni ha favorito i propri interessi e quelli delle grandi imprese economiche in detrimento del bene comune”, spiega Gemma Ubasart, segretaria generale di Podem. “In queste elezioni si materializzerà il cambiamento in atto e sarà evidente il desiderio della società di sbarazzarsi della casta che c’ha governato per più di 35 anni”. In Barcelona en Comú il cambiamento passa anche per la questione femminile. Non solo la lista è composta al 50% da donne ma è esplicita nel programma la volontà di portare nel dibattito pubblico il ruolo della donna nella società. “È necessario femminizzare le politiche pubbliche, per esempio potenziando la rete di asili nido e i servizi sociali”, commenta Laia Ortiz, rappresentante del partito ICV nella lista elettorale, che si è da poco dimessa dal Parlamento spagnolo per dedicarsi completamente a Barcellona. “Noi vogliamo rimettere al centro le persone. Invece negli ultimi anni il modello neoliberale di Trias e CiU ha privileggiato le imprese, soprattutto quelle dedicate al turismo, e Barcellona è stata messa in vendita al miglior offerente”. LA QUESTIONE TURISTICA Difatti, uno dei nodi cruciali attorno a cui verte la campagna elettorale è proprio il modello turistico della città. I numeri del successo di Barcellona sono inequivocabili. Più di 27 milioni di visitatori nel 2014, 7, 5 milioni di turisti ospitati in hotel, per un totale di 16,5 milioni di pernottazioni all’anno. Primo posto in Europa e quarto nel mondo per numero di crocieristi. Sesta città al mondo nel ranking del turismo congressuale. Tuttavia, qualcosa inizia a scricchiolare nell’oliato meccanismo che ha permesso a Barcellona di quintuplicare in poco più di 20 anni il numero di visitatori. Uno scricchiolio che è diventato deflagrazione l’estate scorsa, quando gli abitanti del quartiere della Barceloneta, che soffrono le conseguenze del sovraffollamento turistico, hanno deciso di protestare e di chiedere all’Ajuntament una nuova regolamentazione del settore. “Basta guardare lo skyline della città”, dice Daniele Porretta, architetto e attivista romano, collaboratore dell’associazione AltraItalia e uno dei relatori del programma sul turismo di Barcelona en Comú,“le torri più alte sono quelle degli hotel. Il loro lobby in questi anni ha avuto carta bianca da parte del comune, con una brutale violenza urbanistica come corollario. Noi proponiamo che il turismo venga rimesso in mano alla politica”, conclude Porretta, “e che la ricchezza che ne deriva venga ridistribuita a tutta la città”.
Vari commentatori si chiedono però se il desiderio di mettere mano al modello turistico, la vera boa di salvataggio dell’economia negli anni duri della crisi, non diventi un boomerang. “Barcellona ha un’immagine di successo e Trias avrà gioco facile a maneggiare lo spettro della paura”, illustra Rafa Tapounet, analista politico de El Periódico de Catalunya, uno dei quotidiani più importanti del paese. La mancanza di esperienza nell’ambito amministrativo e una certa personalizzazione nelle decisioni e nell’immagine (sulla scheda elettorale di Barcelona en Comú apparirà il volto di Colau al posto del simbolo) sono gli altri punti deboli messi in risalto dai suoi detrattori. “Tuttavia, Ada Colau rappresenta l’unica alternativa possibile e, in un panorama di estrema incertezza politica, non mi sorprenderebbe che vincesse”, chiosa Tapounet. Lei, invece, ne è sicura, come lo era quando negoziava con le banche lo stop agli sfratti. Vincendo.