«Barcellona è una città ‘urbanale'» – Intervista a Francesc Muñoz

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Francesc Muñoz è professore di Geografia Urbana all’Università Autònoma di Barcellona e Direttore del suo Osservatorio dell’Urbanizzazione. Collabora anche con l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia. La sua ultima pubblicazione è “urBANALización: paisajes comunes, lugares globales” (Urbanalizzazione: paesaggi comuni, luoghi globali), che nei prossimi mesi sarà tradotto e pubblicato anche in Italia. 

Come è cambiato il paesaggio delle città negli ultimi anni?

Ogni paesaggio è come la punta di un iceberg, la parte visibile di processi più profondi. Se per esempio prendessimo il centro di cinque città completamente distinte tra di loro come Tirana, Milano, Londra, Vienna e Barcellona e con delle forbici giganti potessimo tagliare solo la parte di strada all’altezza dei nostri occhi, vedremmo un paesaggio molto simile in cui predominano i i fast-food, i negozi in franchising, soprattutto d’abbigliamento, e quelli di telefonia mobile. Questo tipo di paesaggio ha invaso in una quindicina d’anni le strade di città completamente diverse, dando vita a quel fenomeno che definisco “urbanalizzazione”.

Che caratteristiche ha un paesaggio ‘urbanale’?

L’urbanalizzazione descrive la ripetizione seriale e senza criterio dello spazio urbano: cancella i tratti che rendono diversa una città e li ricolloca in un discorso semplificato. È un tipo di urbanizzazione indipendente dal territorio e indifferente al luogo. Un po’ come quella massima dell’architetto olandese Rem Koolhaas secondo cui “non c’è nulla che assomigli di più a un centro storico genuino che un altro centro storico genuino”.

In che situazioni è più probabile incontrare questo tipo di fenomeno?

Un caso da manuale sono i porti marittimi. Navighiamo con la mente per Barcellona, Genova, Anversa, Rotterdam, Liverpool e Londra. Sono tutte città che hanno portato avanti progetti di riforma dei propri porti negli ultimi 30 anni. Ebbene, proprio il luogo che le contraddistingueva e che definiva la loro peculiarità e identità, è diventato in tutti questi casi una zona di intrattenimento intercambiabile: ci sono sempre un museo, spazi pubblici disegnati come giardini e piazze, un acquario, un’area di bar e ristoranti e una multisala cinematografica. Le città non sono le stesse, i luoghi non sono identici, ma l’esperienza urbana che offrono sì lo è.

Dunque tutte le città sono destinate ad assomigliarsi?

Non voglio dire che le città sono tutte uguali: Tokyo non è Bergamo. Ma c’è un processo di equalizzazione, simile a quella musicale, che smussa le differenze e crea un tono intermedio molto simile. E per questo, parafrasando Baudrillard, mi piace parlare di “sciopero del paesaggio”.

È quello che sta succedendo al centro di Barcellona?

Sì. Un quartiere come il Born è un paesaggio urbanale perché spiega sempre meno di quel luogo e sempre più di quello che spiegherebbe qualsiasi altro quartiere storico turistico. In questo senso, passeggiare per Camden Street, a Londra, per il ghetto ebraico di Cracovia o per il Born diventa un’esperienza urbana simile, dove trovi lo stesso uso dello spazio, generalmente una specializzazione verso il consumo.

È un processo dettato dalle esigenze del turismo?

Certo, il tempo di permanenza è così breve che il turista non ha la possibilità di digerire tutti i messaggi. Allora bisogna procurargliene alcuni già masticati o pre-digeriti. E ricordarsi che non c’è peggior cosa per un viaggiatore che non sapere a cosa fare la foto.

C’è il rischio di un conflitto tra gli interessi economici dettati dall’attività turistica e quelli degli abitanti?

Il turismo globale ha cambiato Barcellona in meno di una decade. Il punto non è negare il conflitto, ma imparare a gestirlo. Perché i luoghi che avranno più successo nel XXI secolo saranno quelli non urbanali. A Barcellona invece, se si perpetua questo modello, l’urbanalizzazione trasformerà la città in una meta intercambiabile con un’altra.

Eppure il modello si sta esportando ad altre città.

Per questo ho proposto di cambiare il nome in ‘Brandcellona’. Barcellona si urbanalizza e la sua versione trasformata si impone, per esempio, nei processi di trasformazione urbanistica di Berlino. È quello che chiamo “Urbanismo del copy+past”. Il pericolo è che alla lunga nelle città urbanali vivano solo quelli che economicamente se lo possono permettere e pertanto si riduca la diversità della città, che è il suo presupposto fondamentale.

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